Ore di angoscia in questo Abruzzo martoriato da giorni da eventi naturali straordinari e nefasti: neve, pioggia torrenziale, alluvioni, slavine…Spengo la tv, triste sottofondo in cui le notizie rimbalzano di canale in canale e oggi rendono l’Abruzzo famoso in tutto il mondo: l’hotel Rigopiano, uno dei nostri gioielli, è sepolto sotto metri di neve, non è ancora conclamato il delicato passaggio tra la dicitura “dispersi” e “morti” circa gli ospiti che fino a ieri hanno goduto delle gioie che, complice una natura meravigliosa, questo posto era capace di regalare.
Poi la notizia del ritrovamento di 6 persone, che diventano 8, tramite i gruppi whatsapp, difficile rimanere tagliati fuori con i social. Euforia, gioia, rinnovata speranza, con un sottofondo di ambascia al pensiero di quelle famiglie che si troveranno a dover riconoscere i redivivi e a dover realizzare che non sono i loro cari.
Difficile dire qualcosa di non scontato e di nuovo, con tutto quelle che tutti i mezzi di comunicazione ci stanno proponendo senza sosta in questi giorni.
Tre considerazioni: bellezza, responsabilità e Umanità
La prima è legata all’hotel e al nostro Abruzzo. Tempo fa alcuni ospiti della SPA provenienti dal Trentino, stupefatti dalla bellezza di quei luoghi, hanno così risposto a un abruzzese meravigliato del loro grande apprezzamento, all’apparenza esagerato, visto che in Trentino hanno le Dolomiti: “ Sì, ma noi dalla montagna non vediamo il mare…”
Ecco, è triste che dei posti così belli vengano conosciuti ora solo perché sede di un disastro. E l’Abruzzo di posti così particolari è pieno. Sarebbe ora di valorizzarli.
La seconda considerazione è legata al balletto di responsabilità e polemiche a cui assistiamo ogni volta di fronte a eventi di questa portata.
Del senno di poi son piene le fosse, pertanto va bene cercare i responsabili se ce ne sono, ma attenzione a non sminuire, in questo modo, tutto il lavoro immane che si sta facendo, ininterrottamente, giorno e notte, tutto l’impegno e il rischio, anche personale, che le persone sul fronte dell’emergenza stanno affrontando. lI fatto è che ciò a cui stiamo assistendo ha davvero dell’eccezionale, e non mi sembra fuori luogo dire che non eravamo preparati. Perciò ora non possiamo che fare tutto il possibile e guardare avanti preparandoci sulla base di questo momento. Scontato, ma non troppo, visto che spesso, dopo aver superato la crisi, ce ne dimentichiamo e non pianifichiamo il futuro.
La terza, quella che mi sta più a cuore, riguarda tutta l’umanità che viene fuori in questi momenti di bisogno: accanto al volontariato ufficiale dei vari gruppi che si avvicendano nei luoghi dell’emergenza, c’è tutto un mondo sommerso di persone che in mille modi danno una mano: c’è chi aiuta a spalare la neve, chi dà la possibilità di attaccare la corrente a chi è da giorni in black out, chi su facebook invita chi ha bisogno a farsi una doccia o a bere qualcosa di caldo a casa sua, visto che è stato più fortunato e la corrente ce l’ha.
E così l’emergenza diventa occasione di fratellanza, e in questi momenti viene fuori la parte migliore degli esseri umani, quella vera, quella profonda, spoglia dalle maschere che mettono le distanze e fatta di emozioni che uniscono, di un senso di comunanza che avvolge tutti in una calda coperta protettiva e amorevole.
Baricco in “Questa storia” racconta magistralmente questa situazione: “ Ma quella fratellanza gli uomini in guerra, non l'avrebbero trovata mai più. Era come se remote ragioni del cuore si fossero schiuse per loro sotto la cova della sofferenza, scoprendoli capaci di sentimenti miracolosi. Senza dirlo si amavano, e questa gli sembrava, semplicemente, la parte migliore di sè: la guerra l'aveva liberata…. Tutti avevano risposto d'istinto, a una precisa volontà di fuga dall'anemia della loro gioventù, volevano che gli si restituisse la parte migliore di sé. Erano convinti che esistesse, ma che fosse ostaggio di tempi senza poesia. Tempi di mercanti, di capitalismo, di burocrazia… condividevano, oltre alla quotidiana atrocità della trincea, quella sensazione di essere vita allo stato puro, formazioni cristalline di un'umanità riportata alla sua primitiva semplicità …. era la parte migliore di loro, e nessuno gliela avrebbe portata via”
In queste situazioni l’essere umano riesce a rispondere al meglio ai suoi bisogni relazionali, in primis quello di ricevere amore e dare amore.
Dobbiamo vivere in uno stato di emergenza per dare il meglio di noi stessi?
Forse allora è il caso di riflettere sul nostro modo di vivere, sull’individualismo e l’impoverimento delle relazioni umane che ne consegue.
Sicuramente il contesto sociale in cui viviamo incide fortemente sul nostro stato d’animo e sulle nostre scelte, ma dovremmo essere onesti e riconoscere con noi stessi che i nostri obiettivi sono altri e che sarebbe invece necessario investire il nostro tempo a costruire un mondo a nostra misura, che possa emergere la parte migliore di noi. La vera rivoluzione viene dal basso.